Live report: Nile
Zona Roveri, Bologna, 14 aprile 2016
I Nile sono, a mio parere, l'emblema musicale della coniugazione di qualità uniche e magicamente amalgamate. Uniscono violenza estrema, tecnica fantasiosa, atmosfere e melodie mediorientali con disinvoltura e precisione; se poi contorniamo il tutto della simbologia di un mondo affascinante come quello dell'antico Egitto e dall'inflazionatissimo (seppur sempre attuale) Lovecraft, ecco che si crea un coinvolgente mix che spicca da parecchi anni nel panorama del metal estremo mondiale.
Il tecnical death metal dei Nile è certamente un genere complicato, da ascoltare e soprattutto da suonare, difatti alla batteria troviamo nei vari album passati nomi del calibro di Dereck Roddy e del portoricano Tony Laureano. Senza dimenticare Pete Hammoura, primo batterista della band, e, da una decina d'anni, il mitico
George Kollias che certamente non ha bisogno di presentazioni. Gli storici chitarristi Karl Sanders e Dallas Toler Wade e il nuovo acquisto Brad Parris al basso completano la tecnicamente "mostruosa" lineup della band.
La location del concerto è il sempre pił convincente Zona Roveri, acustica perfetta, comodo da raggiungere e con una buon programma annuale di concerti.
Ad aprire la serata i francesi Mithridatic e subito a seguire gli Italiani Embryo che allietano il pubblico con il loro melodic death metal ben eseguito e strabordante di avvolgenti basi di tastiera. Le ritmiche di chitarra spesso stoppatissime a tratti sfociano in un industrial che può ricordare le sonorità alla Fear Factory.
È ora il momento dei "Melechesh". La band Israeliana suona precisamente un oriental metal, che altro non è che un death metal decisamente pił "orecchiabile" rispetto a quello degli headliner della serata.
La band di Gerusalemme riesce magistralmente tramite l'utilizzo di ritmiche di chitarra thrash/arabeggianti a creare una fusione sonora gradevolissima. Unendo al tutto atmosfere mitologiche della Mesopotamia e del popolo dei Sumeri che trasportando il pubblico alle porte dell'antica città di Babilonia. Sul palco troneggia il logo circolare e due stendardi con riprodotta una figura mitologica a me sconosciuta. Qualche bastoncino di incenso al profumo di mirra piantato qua e là sulle spie, si consuma lentamente inebriando i 4 musicisti con gli effluvi delle loro terre d'origine. Bassista e chitarrista si presentano sul palco con il tipico copricapo tuareg mentre Aschmedi Melechesh (fondatore e cantante della band) molto pił sobrio negli abiti inizia lo show con uno scream tagliente che si amalgama perfettamente alle sonorità della prima canzone "The Pendulum speks".
Il concerto prosegue con una serie di brani tratti dai vari album della band. Forse a momenti i Melechesh potrebbero risultare ripetitivi per orecchie non abituate al genere proposto, soprattutto nelle parti dove il drumming si fa troppo banale e la melodia orientale delle chitarre prosegue ininterrottamente per svariati minuti. Tuttavia io mi sento di dire che sono un grande gruppo, perfettamente selezionato per intrattenere i fan dei grandissimi Nile.
Terminati i racconti della band sulle gesta compiute tra il Tigri e l'Eufrate mi concedo una pausa sigaretta e birretta con annessa conversazione con i mie immancabili amici di concerti estremi. Dopo pochi minuti inizio a sentire risuonare all'interno del locale un ritmo percussivo rimbombante e costante. L'intro cupa e avvolgente scelta dai Nile per annunciare la loro entrata in scena riporta alla mente le sonorità tipiche di qualche colossal ambientato nelle terre dominate dai faraoni. Velocemente rientro e mi accosto al palco. Kollias spunta da un lato dello stage, lo attraversa salutando furtivamente il pubblico (che lo acclama con fragore) e si posiziona dietro l'infinita muraglia di tom e piatti della sua Pearl. Dopo qualche istante salgono in scena gli altri tre componenti della band e partono le note di "Ushabti reanimator" e subito di seguito la splendida ed evocativa "Sacrifice unto sebek". Viste le atmosfere Egizie ricreate delle prime note, non mi stupirei se sul palco apparisse una mummia che scoperchia un sarcofago, ma mi rendo conto che l'unica cosa che rischia di scoperchiarsi sono i tappi delle bottiglie di liquori posizionate sugli scaffali del bar adiacente sotto i colpi possenti della ipertriggerata cassa di George.
La band si presenta, come da tradizione death metal americana, senza troppi fronzoli estetici e bada pił che altro all'impatto sonoro. Le chitarre di Sanders e Dallas e il basso di Parris, avvolgono continuamente il locale con la loro serie di infinite scale eseguite a velocità folle, ronzanti come una nuvola di locuste pronte a riversare sul pubblico una delle dieci piaghe d'Egitto.
Il growl e lo scream gutturali di Sanders e Dallas che si alternano spesso alla voce, sembra provenga dalle profondità dei labirinti di qualche tempio funerario sotteraneo. Le ritmiche di chitarra alternano riff di puro death a sonorità che ricordano il suono pungente di un "Oud" distorto.
Ogni volta che ho il piacere di vedere esibirsi dal vivo i Nile mi rendo conto dell'incredibile scioltezza con cui i 4 musicisti di Greenville riescono ad eseguire una serie di fraseggi musicali estremi. Kollias su tutti effettua complessi fill cassa/mani con precisione chirurgica. Un'altra sua dote eccezionale è sicuramente la potenza con cui riesce a blastare senza mai diminuire il volume dei colpi sul rullante.
Il concerto prosegue con una setlist che attinge dagli album del passato pezzi come "Kafir!" e "Ithyphallic" e promuovendo alcuni brani dell'ultima lavoro "What shall not be unearthed", come la melodica e leggermente pił regolare "Evil to cast out evil". Si conclude con "Black sede of vengeance" con il pubblico estasiato dalla potenza dello show proposto.
Dopo un ora e 15 minuti di spettacolo in cui si alternano il susseguirsi di tenebrose atmosfere e violentissime sferzate, quasi umanamente impossibili, mi sorge qualche dubbio sulla reale provenienza del gruppo della North Carolina.... non ci troveremo di fronte ai componenti della prole stellare di Chtulu?
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