Live report: Manu Katché - Bari in Jazz

Bari, 25 giugno 2015

Alla base della musica, di qualunque genere, ci sono principalmente due elementi di enorme importanza, strettamente correlati e i cui confini sono spesso labili: la tecnica e la sensibilità.
La tecnica è l'insieme di nozioni apprese sullo strumento con lo studio e l'esperienza. Potrebbe sembrare l'elemento più ostico da assimilare, per la rigidità della forma e per la quantità di studio necessario.
La sensibilità (lo stile, la musicalità, il groove, per noi batteristi) a volte passa in secondo piano rispetto alla tecnica, eppure ha un'importanza forse maggiore in quanto permette di esprimere in modo musicale ciò che la tecnica, da sola, non riesce a comunicare.


Manu katché in concerto


Assistere a un live di Manu Katché fa riflettere seriamente sull'importanza da attribuire a queste due componenti. La precisione, il timing, il bagaglio tecnico, sono tutti elementi fondamentali nello stile di questo straordinario musicista, ma diventano di scarsa importanza in confronto a quello che l'artista riesce a comunicare semplicemente col groove, muovendosi armoniosamente sul set, accarezzando piatti e pelli e diventando un tutt'uno col brano, insieme ai suoi compagni di palco.
E non ci sono manuali o metodi che insegnino come farlo, né risulta semplice descrivere a parole lo stile e l'eleganza di un artista di questo livello. In questo report, aiutato da una manciata di immagini, cercherò di farlo.


Manu katché in concerto


Apre la serata Mike Rubini, sassofonista di Terlizzi (Bari), accompagnato dal suo Extensive Quartet (Marino Cordasco al piano, Pasquale Gadaleta al contrabbasso e Gianlivio Liberti alla batteria), formazione che ho avuto il piacere di conoscere da vicino in passato.
Nonostante la sua giovane età Mike è un compositore apprezzato a livello internazionale: vincitore di una borsa di studio alla Berklee, con la sua band ha suonato due volte a Umbria Jazz.
Il quartetto non sfigura affatto in confronto ai musicisti che saliranno successivamente sul palco, dimostrando (se mai ce ne fosse bisogno) che la nostra terra è ricca di vere eccellenze in campo musicale. Il pubblico presente all'Arena della Pace sembra aver apprezzato molto la loro esibizione, ricambiandoli con numerosi applausi.


Manu katché in concerto


Tocca ora al protagonista della serata. Manu Katché, musicista francese di origini Ivoriane, conosciuto principalmente per la sua lunga e proficua collaborazione con Peter Gabriel; ha lavorato con Sting, Joe Satriani, Jeff Beck, Tony Levin, Joni Mitchell e numerosi altri.
Katché porta dal vivo il suo album "Live in Concert", accompagnato da Luca Aquino alla tromba, Tore Brunborg al sax e Michael Gorman al piano e all'organo B3.
L'ensamble suona un jazz ricercato, contemporaneo, ricco di contaminazioni di vari stili, dal reggae alla world music, passando dal rock. Le parti solistiche sono numerose e rappresentano i momenti di dinamica più spinta dell'esibizione. La tromba, di Davisiana memoria, si fa aiutare spesso dall'effettistica, arricchendo il suono in modo molto interessante e moderno. L'organo Hammond B3 e il suo leslie danno al sound del quartetto un calore e un atmosfera tipicamente british, molto piacevole e che arricchisce la timbrica della band rispetto agli altri brani presentati con il piano.


Manu katché in concerto


Manu, in doppia veste di batterista e compositore, accompagna il quartetto senza mai eccedere, con uno stile composto ma raffinato.
Sono molti gli aspetti del suo drumming degni di nota. Colpisce prima di tutto l'abbondanza di ghost notes e acciaccature, portate all'estremo quando riesce a simulare l'effetto di un delay in terzine su charleston e rullante, con una precisione quasi elettronica.
Katché fa un uso abbondante dei suoi due splash, utilizzati spesso in sequenza, e della campana del ride, ma in generale tutto il drumming sui piatti è molto vario e il batterista sembra voler sfruttare ogni sonorità ricavabile dai suoi strumenti, pelli incluse.


Manu katché in concerto


La dinamica è estremamente estesa e strettamente correlata all'evoluzione del brano: negli ostinato il drummming si fa acceso, indiavolato, con una cassa che sembra suonata col doppio pedale e lunghi fraseggi su tom e rullante, di grande potenza (aiutati dall'impugnatura matched), mentre durante gli assoli degli altri strumenti si asciuga notevolmente, limitandosi a leggeri accompagnamenti sui piatti.
Durante tutto il live Manu è in profonda sintonia con i brani: la sua espressione, a tratti intensa a tratti più distesa, ma comunque sempre sorridente e compiaciuta, è un fedele specchio del mood del momento, una sorta di chiave di lettura del brano.


Manu katché in concerto


Dopo i primi brani Manu ha chiesto al pubblico di avvicinarsi: inizialmente infatti lo spazio davanti al palco era vuoto visto che gli spettatori erano seduti sui gradoni dell'anfiteatro, per una sorta di timore reverenziale che si prova dinanzi ad artisti di fama mondiale. Una richiesta del genere fa comprendere quanto anche musicisti con decenni di attività alle spalle abbiano sempre bisogno del contatto con la gente, di guardarla in viso, ed è un chiaro segno di come il concerto non sia solo un'esibizione di tecnica, ma un intenso momento musicale, uno scambio di energie.
Devo dire che da quel momento la percezione del live è stata completamente diversa: poter osservare a pochi passi di distanza artisti di questo calibro mentre suonano, improvvisano, si guardano e cercano la reazione del pubblico, tutto nello spazio di pochi metri, ha sicuramente giovato a tutti, spettatori e musicisti.


Manu katché in concerto


Il concerto scorre veloce, anche grazie a una piacevole dinamicità sul palco: il tastierista si alterna fra pianoforte ed organo, strumento che gli consente di eseguire anche delle magnifiche parti di basso, per la felicità di Katché. Manu in un brano lascia la batteria per eseguire un brano all'Hammond, e spesso si alza per andare al microfono e parlare con il pubblico, per presentare i suoi musicisti o per chiedere, sul finale, la partecipazione attiva dei presenti.
Durante tutti i brani Manu è il motore ritmico ma è anche il riferimento per gli altri musicisti, che aspettano il suo count a inizio brano o sul finire di uno strumentale, e cercano un suo sguardo, non sempre facile da raggiungere, nascosto fra occhiali e berretto e seduto su un seggiolino quasi al livello del suolo.


Manu katché in concerto


Al termine della scaletta la band lascia il palco fra gli applausi ma torna subito ad eseguire i consueti bis, visto il calore e l'entusiasmo del pubblico.
Katché a questo punto esegue un solo, probabilmente l'unico momento di protagonismo del batterista, nel quale si lascia andare a fraseggi assolutamente rock, di forte potenza, ricchi di rulli e colpi doppi distribuiti sul set.
Dopo altri due brani è davvero il tempo di lasciare la scena, fra gli applausi e l'entusiasmo del pubblico, assiepato ormai sui quattro lati del palco.


Manu katché in concerto


Al termine di un live così sorge spontaneo tornare sulla premessa di questo report, la sinergia fra tecnica e musicalità. Nel mondo batteristico (ma non solo) frequentemente si è di fronte ad esecutori molto preparati ma scarsamente comunicativi. A volte capita invece di incontrare musicisti di grande sensibilità ma senza una preparazione consapevole o un'esperienza trasversale su vari generi.
Poi, molto di rado, si incontrano musicisti come Katché, che hanno avuto sicuramente il merito di aver studiato e approfondito il proprio strumento ai massimi livelli, ma hanno anche avuto il dono di una sensibilità artistica e un'espressività da togliere il fiato.
E se la strada per migliorare la tecnica è l'allenamento e lo studio, mi sento di affermare che il modo migliore per accrescere la propria sensibilità musicale è proprio ammirare dal vivo l'operato di musicisti di questo livello.


Roberto Ficarella - labatteria.it